Dopo il prestigiatore, l’intermezzo musicale e il comico, toccava a lui.
Il prestigiatore era un vecchio rudere che ripeteva gli stessi numeri senza entusiasmo né creatività, e lui si chiedeva come mai lo tenessero. Certo, stava fra i primi numeri, quelli dell’inizio, quando ancora il grosso del pubblico non era arrivato al night, ma ormai non era più buono neppure per i palati meno raffinati. Si vociferava che ci fosse stata una storia di donne, anni prima, una storia torbida e drammatica della quale nessuno conosceva bene i contorni, che avrebbe comunque legato l’uomo all’impresario del night, che in qualche modo si sentiva in dovere di tenerlo. Chissà se c’era qualcosa di vero?
L’intermezzo musicale non era male; questo mese c’era un giovane pianista con la voce satinata, ruffianissima, che cantava languido ad occhi chiusi. Sembrava cantare per sé. Certo avrebbe potuto aspirare a ingaggi migliori di quel night. Non che ci fosse nulla di male a cantare in un night, ci mancherebbe, tutta esperienza! E poi si trattava di uno dei night più rinomati della città, no no, niente affatto un ingaggio trascurabile ma, insomma, con quella voce… Dopo cinque o sei brani il comico. Aveva fatto già due o tre comparsate in programmi televisivi e quindi, in questo mondo di cartone, aveva già l’etichetta di ‘celebrità’. Era bravino. Dai, niente più che bravino. Serviva giusto per scaldare la platea, focalizzare l’attenzione dalle scollature delle entreneuse al tizio sul palco, preparare la scena a lui, il grande ventriloquo, signore e signori di ritorno dalla fortunata tournée in Europa America ma sì abbondiamo anche Asia e Oceania ecco a voi il grande Filiberti col suo Roccocò signori un applauso.
L’applauso era sempre cordialmente caloroso, anche se non entusiasta. L’applauso di un pubblico che conosce il grande Filiberti, sa che si divertirà, ne ha sentito parlare, semmai ha letto di lui, e quindi saluta con un po’ di calore riservando però l’applauso scrosciante alla fine.
Buio in sala. Spot sul centro del palco dove c’è solo una sedia.
Il grande Filiberti entra sul calare dell’applauso che così si rinnova al suo ingresso, vecchio trucco. Ha più o meno quattro passi per arrivare al centro del palco, poi deve fare un leggero inchino e sedersi; il tempo sufficiente per dare un’occhiata circolare al pubblico di quella sera, sagome nella penombra ma abbastanza chiare per lui per cogliere l’essenza di ognuno. I soliti vecchi porcaccioni, qualche coppia non più giovanissima che viene forse a festeggiare un anniversario, diversi giovani, un gruppetto di manager, si vede lontano un chilometro che sono manager o aspiranti tali, sono ancora abbastanza giovani; un paio di coppiette clandestine che sembrano aver scritto in fronte “siamo una coppia clandestina”… Il grande Filiberti in pochi istanti vede tutto questo, ed è importante per lui fissare una piccola mappa del pubblico, individuare chi saranno le vittime delle salaci battute di Roccocò.
Rigorosamente in smoking, magro, faccia un po’ cavallina e baffetti alla Gable, papillon, capo scoperto, il grande Filiberti porta in braccio Roccocò e si siede sullo smorzarsi degli ultimi applausi. Aggiusta Roccocò sulla gamba sinistra. Lo guarda, e Roccocò guarda lui.
– Beh, cosa guardi, stupido?
Il pubblico ridacchia all’insolenza del pupazzo.
– Ti guardo perché mi sembri un po’ palliduccio. Ti senti bene?
– Come posso sentirmi bene col tuo braccio ficcato nel fondo schiena?
– Beh, senza il mio braccio non parleresti…
– E come sarebbe? Tu parli anche senza il mio braccio ficcato nel tuo sedere!
Altre risatine. Queste sono solo piccole mosse d’ingresso, solo per scaldarsi. Il grande Filiberti aggiusta voce e movenze con le solite battutine iniziali.
La voce è quella che gli dà meno problemi. La sua lenta e un po’ nasale, baritonale, distaccata, quella di Roccocò stridula e veloce, nervosa e impudente. Passare da una all’altra, passare dal naturale muovere delle labbra del grande Filiberti alla rigidità del volto quando presta la voce a Roccocò, aveva richiesto molti esercizi e anni di pratica, ma ormai gli veniva quasi naturale. La cosa invece più difficile, che continuava a richiedere la sua concentrazione e un considerevole sforzo, era il coordinamento fisico complessivo e il movimento del suo braccio sinistro. Non bastava dare una voce a Roccocò, bisognava dargli la vita, e questa appariva dal suo girare il capo verso gli interlocutori, il piegarlo leggermente di lato quando diceva una cattiveria, il dondolarlo quando ridacchiava… Poi la bocca; era rigida e composta di due parti, di cui quella inferiore, la mandibola, era mobile e mossa dal pollice del ventriloquo, che sosteneva il resto della testa con le altre dita, tutte interne al pupazzo. Roccocò non muoveva semplicemente la bocca con un meccanico apri e chiudi, ma accompagnava le parole con una verosimile parodia di mimica facciale. Certo, la meccanica di Roccocò non permetteva grandissime variazioni, ma il grande Filiberti chiudeva la bocca del pupazzo alla pronuncia delle labiali, apriva a metà vocali chiuse e completamente con vocali aperte, e insomma alla fine fra veridicità della voce, articolazione gestuale, dialogo brillante, il pubblico rimaneva affascinato.
– E allora cosa le hai detto?
– Che per quei quattro soldi si cercasse un pupazzo di stoffa, che quelli di legno come me valgono molto di più!
– E perché mai?
Roccocò guarda di traverso il grande Filiberti; c’è cascato, gli ha fornito la battuta pronta, come sempre del resto.
– Legno! Capisci? Io sono di Legno! Stoffa (e qui Roccocò si affloscia su se stesso), legno (e qui Roccocò si erge rigido e impettito), stoffa, legno! Le signore non vogliono la stoffa! Vero signorina? Sì lei, col vestitino rosso!
La prima vittima di Roccocò si guarda intorno imbarazzata. Il pubblico la guarda ghignando, la ragazza col suo spasimante, coppia clandestina, coppia in incognito, coppia segreta o semplicemente riservata, comunque sia un bel bersaglio per Roccocò.
– Glie lo dica a questo ventriloquo da quattro soldi cosa vogliono le signorine come lei!
– Roccocò, quanto sei villano, non vedi che la metti in imbarazzo?
– Mai quanto si imbarazzerebbe il marito!
Roccocò ha colto nel segno. Ancora una volta. Non si percepisce nel buio ma la donna è sicuramente arrossita; il suo cavaliere le bisbiglia qualcosa nell’orecchio, lei annuisce, si alzano.
– Vedi villanone, adesso vanno via per colpa tua.
– Ah beh, stai fresco!
– Io? E perché mai?
– Sai quanto sarà contento il proprietario del locale che gli mandi via i clienti!
– Ma sei stato tu!
– Ma sei tu che hai il contratto, fesso!
Il pubblico ride.
Ora è pronto per qualche battuta politica. Poi di nuovo qualcuna a sfondo sessuale. Poi prenderà di mira il più giovane del gruppo dei manager, si vede che è impacciato e non vorrebbe essere lì. Venti minuti passano in fretta e il suo repertorio deve essere snocciolato tutto nel modo e nei tempi previsti.
Alla fine il meritato applauso, il grande Filiberti e Roccocò si alzano e fanno un bell’inchino, escono incrociando il presentatore.
Grande il nostro Filiberti che starà con noi solo fino alla fine di Giugno signore e signori quindi tornate presto per godere delle sue nuove battute e del suo repertorio sempre rinnovato e ora qualche momento musicale col nostro bravo Carlo Romagnosi per poi introdurvi la meravigliosa Estela Rodriguez nella sua danza col pitone accogliamo intanto Carlo Romagnosi.
Altro applausetto, che il grande Filiberti sente appena dal suo camerino.
Roccocò è appoggiato sul divanetto; lui siede davanti allo specchio e inizia a struccarsi. La porta si apre di scatto; è Ludovici, il proprietario del locale.
– Beh, non si bussa?
– Senti Filiberti, sei un’attrazione e va bene, sei pure bravo, ma devi smetterla di insolentire i clienti.
– Non sono io.
– Ovvero?
– É Roccocò.
– Filiberti, non prendermi per un coglione; questi giochetti vanno bene per qualcun altro, non per me. Questo è un night e ci sono due tipi di clienti: la gente che viene per vedere un po’ di figa mettendola sul conto spese aziendale e le coppiette che approfittano dell’oscurità; tu falli ridere un po’, fa’ il tuo numero ma non maltrattare troppo chi paga l’ingresso!
Filiberti, che non aveva smesso di togliere il trucco di scena, gli buttò appena un’occhiata.
– Sì, va bene, glie lo dirò…
– Ma glie lo dirai cosa? A chi?
– A Roccocò, te l’ho detto… Glie lo dirò…
– Ma va’ a cagare!
Ludovici uscì sbattendo la porta. Il grande Filiberti tranquillamente finì il suo lavoro, mise con cura Roccocò nell’apposita custodia, amorevolmente, con delicatezza e uscì.
Era quasi l’una di notte. Il grande Filiberti uscì dal retro del night su una stradina pisciosa e stretta che gli fece storcere il naso, come tutte le sere. Il suo albergo era a tre isolati, non più di dieci minuti. Sì incamminò di buon passo ripassando il suo spettacolo, come faceva sempre. La battuta sulla coppietta clandestina era stata ottima, Ludovici era un cretino. Invece col giovane manager poteva andare meglio; contava di metterlo in imbarazzo coi colleghi più anziani ma non aveva indovinato qualcosa… forse il giovanotto aveva un ruolo più importante di quello che lui aveva creduto. Anche la battuta sul leader della destra erano andate benino, sempre abbastanza facili da fare… domani poteva dirne due anche sul presidente confindustriale che era al centro di battute mordaci da parte del sindacato… mmh… forse era meglio viceversa, dopotutto al night non vengono operai…
– Ehi, nono!
Il grande Filiberti trasalì leggermente.
– Ehi, nono! Hai sigareta per me? Nono!
Filiberti guardò appena quel tipo, est Europa, bassetto ma massiccio, da evitare. Era addestrato a comprendere a colpo d’occhio chi aveva davanti, e questo qui non gli piaceva. A quell’ora. In quel luogo. Affrettò il passo.
– Ehi nono, perché non mi parli? Non mi dai sigareta, perché? Io buono, io lavoratore, dammi sigareta.
– Non fumo, mi dispiace.
– Non fumi? Aah… ti aiuto? Porto peso? Dammi cinque euro per sigarete, io porto peso!
Il grande Filiberti pensò, in rapida sequenza, che la situazione era antipatica, che in giro non si vedeva nessuno, che non aveva nessun peso, che forse si riferiva alla custodia di Roccocò ed era solo a metà strada per l’albergo.
– Faccio da me, grazie – rispose accelerando un pochino.
– Porto io! – fece lo straniero afferrando una bretella della custodia – porto io, porto io! Dammi cinque euro!
– Oh la miseria! Va bene, ti do i cinque euro, te ne do dieci, ma tieni giù le mani dalla mia custodia!
Il grande Filiberti si ferma, un lampo di sguardo attorno ma non c’è un cazzo di nessuno, porca puttana, si mette la custodia sulla spalla imbracandola per gli spallacci, mette la mano sotto il soprabito cercando il portafogli, merda di merda…
– Cos’hai in custodia?
– Ma cose te ne frega, prendi, questi sono dieci euro, sei molto gentile a volere aiutarmi ma sono quasi arrivato, non ne ho bisogno, grazie, grazie.
Ficca i dieci euro nelle mani dell’uomo e riprende a passo veloce.
– Cos’hai in custodia? Eh? Cosa?
L’uomo lo seguiva. – Cos’hai lì? Dimmi! – e così dicendo gli dava piccole botte con le dita tese sul fianco.
– Ma insomma, lasciami perdere o chiamo la polizia!
– Non c’è polizia, ci siamo io e te. Tu non chiama nessuno. Fermati. Dammi cinquanta euro!
Fu a quel punto che il grande Filiberti capì di essere spacciato. Per uno di quei casi non infrequenti nelle vecchie città, pochi metri davanti a lui il muro piegava ad angolo retto a destra per pochi metri, per poi riprendere sempre bruscamente il suo corso naturale. Lo straniero era dietro di lui sulla destra e gli avrebbe impedito la fuga; il muro davanti era la sua fine.
– Senti, ascolta… senti – incominciò a balbettare cercando nuovamente il portafogli – prendi il mio portafogli, va bene? Eh? va bene? Tieni…
Ormai era rinchiuso nell’angolo, col portafogli in mano teso verso l’uomo. Questi gli stava abbastanza scostato e lo guardava con uno sguardo strano, un po’ sornione. Prese il portafogli.
– Mi dai soldi? Tu mi dai soldi? Bene, tu bravo. – mette in tasca il portafogli – Ma cosa tieni lì? – indicando la custodia. – E’ il mio lavoro. Lavoro, capisci? Non vale nulla per te!
– No? Ma per te vale molto no? Vedere!
– Ti prego, ti prego – il grande Filiberti quasi miagolava il suo terrore – tu non puoi capire, è solo un pupazzo, io sono un artista lavoro con lui – L’uomo cambiò atteggiamento in un lampo e con un viso tremendo, avvicinandosi a Filiberti gli ringhiò – Stronzo, fa’ vedere subito se no io rompo culo! – E così dicendo afferrò gli spallacci tirando la custodia.
– No ti preego… – sussurrava il grande, il grande Filiberti accasciandosi sempre di più e non opponendo quasi resistenza all’uomo, che corse via con Roccocò.
– Ti prego, è la mia vita – ma bisbigliava, non aveva alcuno ad ascoltarlo.
Trascorse del tempo.
Filiberti era sempre lì, in quell’angolino di muri che l’avevano bloccato, seduto per terra col viso sfatto. Che fare, che fare? Filiberti si alzò e si incamminò nella direzione in cui l’uomo era fuggito. No, non intendeva inseguirlo. Non aveva forza, non aveva fiato, non aveva coraggio ma – pensava – che se ne faceva quell’uomo di Roccocò? Quell’uomo non sapeva, credeva in chissà che tesoro… mentre si trattava di un tesoro solo per lui, solo per lui. Forse l’avrebbe buttato via, forse non gli avrebbe fatto del male. Aveva avuto dei soldi, facili, subito, senza rischio. Filiberti camminava svelto, aveva visto la direzione dell’uomo ma poi, chissà, aveva svoltato? Qui c’è una piccola traversa, Filiberti getta un occhiata, va avanti, incespica, guarda sempre più concitato, col fiatone avanza, avanza, dietro le colonne dei portici, negli androni chiusi, nessuno per la strada, Roccocò, forse più avanti, forse più avanti.
Eccolo.
Eccolo, eccolo eccolo eccolo! Sì, ha avuto ragione, dietro quell’edicola in mezzo al piscio degli sbandati notturni ecco il figliolo, ecco Roccocò, senza la custodia ma eccolo. Un braccio spezzato! Perché? Maledetto! Si era infuriato, si era sentito preso in giro, aveva infierito, forse con un calcio. L’avrebbe curato, sapeva come prendersi cura di lui, caro, caro, caro. Si strinse al petto Roccocò, accostò il viso alla sua testa dura di legno e lo baciò come raramente l’aveva baciato.
Si raccolse. Roccocò sempre stretto al petto col braccino rotto. A passo lento, sfinito, trovò la strada dell’albergo, con la testa confusa ma felice. Il braccino si sarebbe aggiustato presto, subito, questa notte stessa avrebbe cercato di provvedere. Sì, questa notte stessa, certamente, domani dovevano andare in scena al night, anzi gli era venuta in mente una nuova battuta niente male, avrebbero certamente riso tutti, di gusto, quelle risate di pancia che tanto gli piaceva suscitare… Sì, nuove battute, avevano certe idee in mente… Lui e Roccocò.

Prima versione: Ottobre 2013. Con alcune correzioni su Alamagoozlum: 12 gennaio 2023.
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